Alimentazione& falsi miti. Ecco come nascono
14.10.2015

Dall’omofilia agli effetti della viralizzazione ecco come nasce un falso mito sul web

Sappiamo ormai che la rete è il luogo per eccellenza in cui libertà di parola e condivisione trovano ampio spazio, è il simbolo per eccellenza dello scambio di contenuti, notizie o opinioni, in tempo reale.

Se, da una parte, la ricchezza di contenuti è un plus, dall’altra rischia di andare a discapito della qualità delle informazioni fornite. Quanti, infatti, si interrogano realmente sulla veridicità delle notizie che leggiamo quotidianamente sul web? Sebbene per molti sia un problema secondario o di relativa gravità quando si parla di gossip o attualità, la situazione cambia quando si entra nel merito di argomenti legati alla salute e alla corretta alimentazione. In questo caso non è questione di punti di vista, ma di corretta informazione (scientifica) o di “misinformation”. Ma come nasce la disinformazione sul web? Ecco cosa abbiamo scoperto!

Omofilia e polarizzazione, questione di fiducia – La spiegazione più illuminante sull’origine delle bufale online arriva da uno studio (“Misinformation: The Role of Homophily and Polarization”) di Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratory of Computational Social Science dell’IMT di Lucca. Secondo il noto informatico, a facilitare la veicolazione dei falsi miti contribuirebbero i fenomeni sociali dell’omofilia (cioè quel comportamento, dominante nell’uso di internet in generale e dei social network in particolare, che porta l’utente a selezionare le sue ricerche e le sue frequentazioni sulla base di una propria identificazione con il simile) e della polarizzazione, che favoriscono l’interazione tra categorie di utenti simili tra loro. Seguendo il ragionamento, più una bufala viene condivisa da persone che conosciamo (il che è normale sui social media) più aumenta l’eventualità di esserne contagiati a nostra volta. “Le bufale si diffondono tanto, e velocemente – spiega Quattrociocchi – semplicemente perché sulla Rete sociale tendiamo a fare amicizia con persone simili a noi, che fruiscono i nostri stessi contenuti”.

E chi tra gli utenti ha più probabilità di scambiare la bufala per un fatto reale? Il ricercatore non ha dubbi: sono i fan delle pagine di controinformazione, ovvero di notizie, per loro stessa natura, difficili da verificare. Più il taglio è “complottista”, più il concetto di verità assoluta tende a scolorirsi. Una volta veicolata, la bufala viene diffusa in rete da utenti molto polarizzati, ovvero da coloro che hanno in media circa l’80% di like su fonti di informazione autoreferenziali e perciò difficili da controllare.

Disinformazione digitale – Del resto che la disinformazione digitale sia “uno dei principali rischi della società moderna” lo ha intuito – e dichiarato a voce alta – il Report 2013 del World Economic Forum. Perché le bufale a volte sono costruite ad arte. E non sempre da burloni in vena di scherzi. Lo sa bene il Presidente americano Barak Obama, che ha dovuto reagire a una colossale bufala (la diffusione, da parte del movimento Sandy Hook Truthers, della notizia che sarebbe nato in Kenya) pubblicando il certificato di nascita sul sito della Casa Bianca. Con una notizia palesemente falsa, alla quale ancora oggi credono milioni di persone, si mette in crisi anche l’uomo più potente della terra. Siamo così fragili e indifesi di fronte a queste “non notizie” che a volte finiamo per credere a cose davvero incredibili. Lo scorso anno ha fatto il giro del mondo la notizia della donna (Jasmine Tridevile) con tre seni. Con tanto di fotografia su Facebook, particolari sul costo dell’intervento (20 mila dollari) e ragione perché lo avrebbe fatto (disgustare gli uomini per non avere più nulla a che fare con loro). Peccato che fosse tutto falso, anche se ci hanno creduto milioni di persone.

Generalizzazione e mancanza di competenza – Secondo David Lazer, docente esperto in Computational Social Science, sarebbe l’eccessiva disponibilità dell’informazione a favorire l’insorgere di questi falsi miti. La presenza di una vastità multiforme di contenuti prodotti liberamente agevolerebbe, infatti, la costruzione di numerose leggende. Così come succede nel racconto orale, dove nello scambio di informazioni si tende a generalizzare e semplificare, dalla descrizione generalista e poco puntuale dell’utente in rete scaturirebbe un falso mito; secondo Lazer sarebbe l’assenza di una corretta preparazione scientifica a far nascere una “bufala”. Opinione condivisa da Rosaria Conte, vice presidente del Consiglio Scientifico del CNR. Il problema è infatti “la mancanza di preparazione scientifica da parte di chi fornisce, e fruisce, le notizie. A essere virali non sono tanto le bufale ma le informazioni non verificate e la loro conseguente accettazione acritica. Un atteggiamento da abbandonare”.

Bufale e virus – Una volta creata, la bufala esplode come una bomba in un terreno di cultura che amplifica gli effetti della deflagrazione. E si diffonde esattamente come farebbe un virus. Come ha sottolineato al riguardo lo studioso Alessandro Vespignani, un fisico che studia i modelli previsionali delle epidemie, “l’informazione è un fenomeno di contagio sociale. Solo che in questo caso a passare di persona in persona non è un virus, un patogeno, ma un concetto, che si diffonde di testa in testa. Nel momento in cui recepisco alcune informazioni dai miei amici e comincio a ripeterle, è come se fossi stato infettato. E infettassi gli altri a mia volta”. Il problema è semplice: internet crea una falsa illusione. L’orizzontalità del sapere. “Mettendo qualsiasi cosa a disposizione di tutti – spiega Vespignani – fa credere a chiunque di poter masticare ogni informazione in modo efficace. Purtroppo non è vero. A volte ci vogliono anni di studi per capire determinate notizie. E discriminare quale sia l’informazione corretta e quale no”.