Cibi dai poteri miracolosi o assolutamente dannosi. Diete che promettono dimagrimenti in tempi record e rimedi per qualunque esigenza. Il dibattito sul cibo è sempre più attuale e oggi vive e si alimenta in quella grande arena che è il web.
La bufala infatti è dietro l’angolo: facile generarla ma difficilissimo annientarla, ad ogni latitudine. Anche i nostri connazionali non ne sono immuni. Per 4 italiani su 10 – rivela una ricerca realizzata da DOXA per conto di UNIONFOOD – internet e social media sono la seconda fonte d’informazione più attendibile su cibo e dintorni.
Il parere del medico resta, anche se di poco (55%), la fonte più autorevole. Terzo posto per il generico e tutt’altro che qualificato “consiglio di un amico ed esperto” (25%). Che per loro conta comunque di più, in termini di autorevolezza, di quello che apprendono negli spazi dedicati a cibo e medicina dalla tv (22%) e dai giornali e riviste specializzati (22%).
Una situazione abbastanza paradossale che però “degenera”, è proprio il caso di dirlo, quando analizziamo le risposte dei più giovani, gli under 30: per i cosiddetti Millennial (nati fra la metà degli anni Ottanta e il 2000) quello che leggono nei blog, su Facebook, su Twitter o Youtube conta di più (il 61% la pensa così) di quello che dicono i medici (la cui autorità è riconosciuta solo dal 52% del campione). Ma anche nella classe di età immediatamente successiva – i 30-49enni – si registra un incomprensibile testa a testa: 58% propende per medici e nutrizionisti, il 51% per la Rete e le sue informazioni non sempre verificate.
LA DISTANZA TRA COSA SI PENSA E COME CI SI COMPORTA IN CONCRETO
La ricerca evidenzia, comunque, molta confusione su questi argomenti. E una grande distanza tra l’opinione generale e i comportamenti effettivi delle persone. Oltre il 50% degli italiani dichiara – in teoria – di non fidarsi di quello che legge su internet e di cercare sempre conferma dal mondo “off-line” (tv, giornali, medici ed esperti). Ma anche in questo caso esiste uno zoccolo duro (17%, che sale al 36% tra gli under 30 e al 24% nel Sud e nelle Isole) di creduloni del web.
Di fronte a una notizia negativa su un alimento o su una bevanda diffusa dalla Rete il comportamento parrebbe però corretto, quasi da manuale: il 30% afferma di “documentarsi meglio”, il 22% sostiene di “non lasciarsi condizionare” e il 20% “chiede consiglio a un medico o un esperto”. Ma anche in questo caso al 3% degli italiani quanto letto basta per ridurre/eliminare quel prodotto dalla propria dieta.
LA TOP TEN DELLE BUFALE ALIMENTARI: ECCO QUELLE A CUI CREDONO DI PIÙ GLI ITALIANI
Prendendo in esame 9 bufale alimentari molto diffuse sul web – setacciate e rintracciate dal gruppo di 5 blogger che hanno dato vita alla campagna e “smentite” dagli esperti ingaggiati da UNIONFOOD – e sottoponendole al giudizio del campione della ricerca, si ottiene un riscontro abbastanza chiaro dello scarso livello di conoscenza su questi temi.
Le bufale alle quali gli italiani credono di più sono quattro:
- gli agrumi servono a prevenire il raffreddore
- i grassi fanno male e andrebbero eliminati dalla dieta
- le merendine sono piene di additivi tossici come l’E330
- mangiare ananas aiuta a bruciare grassi
Maggior equilibrio, invece si riscontra rispetto alle altre cinque bufale prese in esame, alle quali gli italiani dimostrano di credere meno: lo zucchero fa male e non va dato ai bambini (46%), i carboidrati fanno ingrassare (44%), eliminare il glutine aiuta a dimagrire (30%), il lievito fa male alla salute (27%), ogni tanto la merenda e la colazione andrebbero saltare per stare meglio in salute (12%).
IL CASO DA MANUALE DELL’ADDITIVO “TOSSICO” E330 (IN REALTÀ È L’ACIDO CITRICO)
Come dicevamo, anche le merendine sono finite al centro di una bufala online, smentita a più riprese da varie autorevolissime fonti (la Fondazione Umberto Veronesi, Altroconsumo, il sito Attivissimo.it, che nasce proprio per smascherare le bufale online), ma ogni tanto in grado di rigenerarsi sulle sue ceneri. Anni fa (era il 1999) uscì una lista di prodotti dolci da forno che utilizzavano il temibile e “tossico” – così veniva scritto – E330. Peccato che la fonte citata (il Centro Antitumori di Aviano) ha smentito più volte di essere all’origine della notizia. E peccato, soprattutto, che l’E330 di tossico non ha nulla, visto che dietro questa sigla c’è l’innocuo acido citrico, contenuto in limoni e arance e tutt’altro che pericoloso per la salute. Inspiegabilmente, a cicli di 4 o 5 anni questa informazione ritorna a fare capolino sulla Rete, seguendo la logica perversa della “disinformazione virale”. Che comunque ha i suoi effetti, se oggi il 73% degli italiani si riconosce in questa notizia, palesemente falsa, letta sul web.